Elie
CRISTIANI
J'ai vu tout à l'heure, sur
l'un des premiers panneaux qui défilaient, l'histoire de la pomme et de la figue. Quand
j'entends le mot magnifique, j'entends toujours manger les figues, et je me dis que c'est
sans doute çà qui a du influencer Toni mais qu'en réalité cette analogie me paraît
impossible dans la mesure où toutes les pommes sont des fruits et toutes les figues sont
des fleurs et que la figue n'est pas un processus de fin, la figue c'est la première
étape qui va donner un fruit et que dans ce sens là l'analogie est impossible. Je vais
revenir plus directement à ma question sur le concept identitaire et la culture ; il n'y
a pas beaucoup de créateurs et c'est peut-être une des questions auxquelles il faudrait
répondre. Le concept identitaire, aujourd'hui, mis sur le plan du faire, c'est à dire de
l'économie, sur le plan du dire, de la création, dans l'écriture, la parole, la
langue... est sans doute la réponse à une situation douloureuse, une fin de siècle
difficile où après les guerres, les meurtrissures, tous les effets de toutes les
colonisations, toutes les déchirures, les souffrances qui est cette revendication
identitaire qui soit portée en avant, qui soit forte, qui soit mise au temps présent, me
paraît à la fois la réponse évidente puisque des gens, et Toni en a une grande
responsabilité l'ont mise dans l'actualité, dans le politique, dans la culture, dans
l'économie, est-ce que cette préméditation identitaire dans les actes qui fondent la
culture, c'est à dire les actes de la création, est-ce qu'elle n'est pas en soi la fin
de quelque chose qui est une véritable dynamique dans la création ? Je m'explique :
toutes les identités se font sans préméditation. Lorsque les colons génois fabriquent
des tours, cette architecture scatologique, ils sont des envahisseurs et lorsque, à
Paris, I Muvrini la proclament comme notre image, est-ce que au moment de la fabrication
de la tour génoise c'est un acte identitaire, est-ce que, aujourd'hui çà ne fait pas
partie de notre identité ? Est-ce que les actes de la création peuvent avoir la
préméditation identitaire, est-ce qu'en soit cette préméditation n'est pas la voie, en
tout cas dans la durée, la plus dangereuse, pour qu'un pays puisse exister en étant
seulement ? Être quelque chose ce n'est pas seulement être, c'est l'engagement de toutes
les incertitudes, de tous les dangers, de toutes les richesses. Être quelque chose c'est
s'empêcher d'être, et d'avoir insisté, d'avoir fait ce drapeau identitaire, de l'avoir
mis au présent alors que c'est un instrument d'intérêt évident dans l'ethnologie, dans
le travail scientifique, dans la linguistique au niveau de l'étude çà me paraît
important mais quand on met ce mot au présent çà me paraît extrêmement dangereux. Ma
question : est-ce que la proclamation de l'identité ne met pas en danger l'identité ?
T. CASALONGA
J'ai failli dire : c'est une
bonne question mais je ne l'ai pas dit. En fait c'est la vraie question et je dirai même
c'est plus qu'une question c'est la véritable objection. Mais c'est une objection
fallacieuse en ce sens qu'elle exclut les retournements. Je reprends l'exemple que tu as
donné des tours génoises : quand les Génois ont construit les tours génoises, c'était
l'expression même de l'identité visible du pouvoir génois sur la Corse ; ils n'ont pas
construit pour autre chose : c'était donc une identité au présent. Aujourd'hui c'est
devenu, après renversement, notre identité, c'est à dire que nous avons réussi à
récupérer ce signe et en faire le signe qui exprime notre capacité à nous défendre
des envahisseurs. Cela signifie que l'identité est en permanence fabriquée par la vie et
par la relation que le pouvoir inscrit dans l'histoire des sociétés. Alors, non
seulement l'identité n'est pas un piège au présent mais l'identité ne peut exister qu
'au présent car le même signe change de sens parce que le présent est devenu le passé
et que ce qui est présent aujourd'hui c'est le sens que l'on donne aujourd'hui.
Ma réponse à ton objection
est qu'elle pourrait être retenue si elle n'était pas en permanence démentie par les
faits et pardonne-moi de t'avoir répondu si violemment et au fait que ta question était
si belle qu'elle est presque magnifique.
ESTUDIANTINA AJACCIENNE
Plus on partage la culture
plus elle augmente, elle s'agrandit. Ce n'est pas comme sparta u pani, quandu ùn ci hè
più pani ùn ci hè più spartu.
INTERVENTION DE ANTONIO
CABIDDU DU TEATRO DI SARDEGNA
Io vi devo due scuse : la
prima perchè non parlo francese, la seconda perchè l'argomento che mi vede nel
programma, come relatore per gli aspetti della cultura di una regione insulare. Per me e
un aspetto troppo vasto e non è della mia competenza. Io molto più modestamente vodrei
fornire una testimonianza, una testimonianza di una sperienza concreta in un settore
limitato e particolare come quello del teatro. Io credo tuttavia che siamo perfettamente
nel tema, nel senso che la relazione tra identita e cultura attraverso il teatro noi
l'abbiamo potuta sperimentare in circa trenta anni di attività. Voglio subito dire che il
nostro modo di fare il teatro è ancora uso qui una parola fuor di modo- è un
teatro militante, cioè un teatro che si impegna a esprimere attraverso questa forma
d'arte una passione, una necessità di fare il teatro. Ma credo che questo appartenga un
poco à tutti gli artisti. Non si può essere artista senza passione, non può essere
artista senza una grande personalità. Intendo che un artista non produce per fare delle
merce per comercializzare delle merce. Vorrei portare la nostra sperienza alla vostra
attenzione, come percorso di un piccolo gruppo e amatore di teatro che negli primi anni
settanta, dopo à sissantottu faceva teatro universitario. Poi attraverso tutta una seria
di mutazione di variazione nel proprio organizzarsi e nel proprio approccio professionale
del teatro hanno poi portato, diciamo la loro opera nella capitale, à Roma, per esempio
l'anno scorso alla presenza di Harold Pinter « Ritorno à casa ». Questo non per
raccontare una sperienza, per dire rimanendo il tema del convenio, come questo sia
possibile in una piccola regione marginale insulare fuori dai circuiti nazionali italiani.
Allora io credo che la risposta sia piuttosto simplice : questo è possibile rimanendo
fedele à se stesse ; questo è, diciamo, il piccolo segreto, credo che appartenga à
tutti gli artisti che si occupano di arte e di communicazioni in tutto il mondo. Infatti
insieme a questo teatro che noi esportiamo in giro per l'Italia noi continuamo molto
testardamente à perseguire una linea di teatro mediterraneo cosi detta. L'ultima
produzione, per citare un esempio, è un titolo che viene da una storia vera che
appartiene alla Sardegna di prima al nuovecento e che tratta delle faide, delle lotte,
delle vendette tra famiglie che è un problema molto tipico dell'aria del mediterraneo.
allora noi abbiamo di fronte un tema importantissimo che però non volevamo trattare come
un banale racconto ma volevamo dare una dimensione più universale. Abbiamo pensato che
per fare questo lavoro occoreva inserire nel nostro gruppo uno sguardo più distante, più
distaccato e anche con una grande sperienza di teatro e come il regista greco Teodor
Terzopulos. Ma a parte gli aspetti molto vari al mio giudizio la cosa straordinaria è che
noi abbiamo potuto rappresentare sotto forma di tragedia greca e anche come un elemento
universale tra la pace e la guerra, la scelta tra la pace e la guerra un piccolo episodio
diciamo di cultura locale chi quindi hà assunto un significato universale e questo a
toccato la sensibilità profonda della nostra popolazione. dunque il teatro come ponte
attraverso il quale rinodare nel profondo dell' intimo quelle che sono le radici
culturali, cioè i valori in cui tutti quanti la cumunità si riconosce,ecco questo è
secondo noi uno dei possibili roli culturali del fare il teatro.
L'arte del teatro ma come
tutte le altre arti ci può mostrare una via per incontrare la gente per ritrovare quella
indentità perduta che ovviamente non è folclore non è nostalgia non è adeguamento
diciamo alle mode. E questo è possibile se l'attegiamento dei registi, degli attori
insoma di tutti quelli che collaborano in generale degli artisti è rivolto à una ricerca
continua cioè non a quello che è una produzione costante, tradizionale. l'artista è
artista in quanto continuo ricercatore. Infatti l'artista sà di non sapere. È quello che
insegue sogni, e quello che continuamente non è sodisfatto dalla propria opera perchè
continuamente nel momento in cui rializa una intuizione cerca di trovare criticamente
quello che non funziona quello che non va. Ma qua si pone un altro problema : come
inserire l'artisti, le forme artistiche, in particolare il teatro nella società come fare
il teatro per la società. È chiaro che è necessario avere alle spalle un progetto che
magari gli artisti contribuiscano a formare e a pensare. Però il progetto deve avere una
struttura a maglie larghe, deve lasciare libertà agli artisti, allo stesso tempo deve
tracciare la possibilità di fare e di operare. Il concetto di lasciare una struttura che
poi consenta agli artisti di riempire di contenuto le tracce. Nel nostro lavoro il teatro
del Mediterraneo è una traccia sicura, una bussola attraverso laquale manmano si riempie
di contenuto. cioè questo per dire anche qualche intervento di cui parlavo, la
programmazione infatti finisce per ammazzare l'arte, finisce per distruggere quello che si
cerca di lasciare libero. Se la libertà degli artisti è propositiva e culturale rimane
sempre un' autentica libertà non condizionata dal potere politico, dal potere economico.
Io credo che all'interno si trovano gli equilibri necessari per proggetare nuove
esperienze, nuove forme artistiche. E quà viene un altro aspetto molto importante di
come, per esempio, noi viviamo la condizione in Sardegna che è una regione autonoma e che
senza legge ci hà consentito crescere molto ; senza legge stringente soffocante che
impongono tutto quello che deve fare. Noi abbiamo una lege del 1950 che lascia piena
libertà à l'evoluzione del nostro lavoro. Adesso noi ci troviamo da fronte à un
problema che penso che sia anche quello della Corsica, cioè quello di fare un altro salto
di qualità, perchè è quella di una piccola realtà come quella del teatro di Sardegna.
Per potere essere erede della società uno hà bisogno di strutture hà bisogno di
istituzioni hà bisogno anche di una formalizazione più precisa più istituziunale. Ed
ecco qui la battaglia trà l'istituzione e la militanza degli artisti. È un matrimonio
difficile perchè in questo matrimonio ciascuno deve cedere qualcosa, ùn rinnunciando a
l'anima ma cercando di adattarse à le nuove regole. Occorre molto equilibrio e molta
intelligenza politica per realizzare nella pratica un' istituzione che non si fossilizze
che non faccia da museo, che sia sempre attiva sempre propositiva. Io posso dire che è
una impresa che non abbiamo ancora superato, dove i nostri politici sono molto tentati da
perseguire le solite vie della polverizzazione. cioè il molto che fa premio sulla
qualità e sulle scelte diciamo decise verso lo sviluppo perchè questa è un' azione di
governo e di politica di sviluppo. Bene, io credo cosi di avervi raccontato una piccola
flash di esperienza ; noi con gli amici della Corsica abbiamo fatto diverse sperienze
anche comuni, abbiamo realizzato spettacoli insieme, siamo andati insieme in Croazia per
seguire Odisseo per seguire Ulisse ;questo teatro era una proposta comuna con la Corsica
che hà preparato un suo spettacolo con la Sardegna e la Croazia, si sono confrontate su
un testo di Cesare Pavese. per concludere io vorrei dire che, poichè anche in Corsica ci
è fortissima la necessità di salvare la propria identità, la propria cultura, la
propria lingua, io credo appunto che il primo commandamento è di non rinonciare alla
propria verità, la propria ricerca, alla propria autenticità. E allo stesso tempo io
credo che sia molto profitto, in questo, l'Europa, la Comunità ci può aiutare moltissimo
lo scambio di sperienze perchè, a me personalmente, il nostro teatro di Sardegna hà
consentito di conoscere tanta gente in tutto el baccino del Mediterraneo e hà consentito
di crescere culturalmente, di sperimentare nuove forme di teatro come questo che abbiamo
fatto con Terzopulos ma sostanzialmente di avere uno sguardo, diciamo più ampio, sneza
perdere la nostra identità. Spero che le relazioni ottime che abbiamo con molti amici
della Corsica proseguino nel sperimentare appunto delle forme di collaborazione nel
prossimo futuro. Grazie.
Pt du CESC
Avant de donner la parole dans
la salle, j'ai retenu notamment une phrase de Monsieur Cabiddu : il fallait beaucoup
d'intelligence politique pour ne pas fossiliser la culture. Et j'en profite pour remercier
tous les politiques, y compris le Président de l'Assemblée de Corse, qui viennent nous
voir au cours de ce séminaire ; cela prouve bien qu'il veulent s'imprégner de la
société civile. Qu'ils soient remerciés, par avance, de leur collaboration.
J.P.BONNAFOUX (Aumônier de
l'Université de Corse)
Tout à l'heure, Toni, tu as
parlé de porte, la culture comme une porte. Malheureusement, dans nos villages, on voit
plusieurs portes, beaucoup de portes et elles sont fermées. Et, j'ai l'impression que, à
l'heure actuelle, on peut avoir une vision enthousiaste de la culture comme une porte,
mais on peut se rendre compte aussi qu'il y a beaucoup de sous- groupes, que notre
société corse comme la société européenne- est éclatée en de nombreux
sous-groupes qui ont des difficultés à communiquer entre eux. Chaque sous-groupe a
besoin d'être enfermé en lui-même parce qu'il a peur, il a peur de l'autre, il n'a pas
une langue pour communiquer avec l'autre. Alors nous avons les jeunes agriculteurs d'un
côté, les retraités de l'autre, mais une multiplicité de petits sous-groupes qui ont
chacun leur culture mais qui ferment peut-être la porte parce que on ne sait pas ce qui
va se passer dehors et parce qu'on n'a pas les moyens de franchir cette porte. Je dirai
que, dans la culture même, on a fermé les portes au fur et à mesure. On a montré, à
nos anciens, la culture française comme quelque chose d'inouï et, peut-être que l'on
dévalorisait complètement la culture corse. On leur a fermé une porte tout en leur en
montrant une autre. Mais il y a eu en eux quelque chose qui s'est passé. Ensuite on leur
a dit : il n'y a que la culture corse qui est importante, et, on a peut- être contribué,
sans le vouloir, à dévaloriser une autre forme de culture, celle des écoles... Et
maintenant, on se retrouve avec la culture américaine ou la culture d'INTERNET, et sans
le dire ouvertement, d'une manière implicite on laisse entendre qu'une culture renie
l'autre. Pour moi, le vrai problème, c'est de savoir comment ouvrir les portes et comment
le CESC, l'ensemble de la société ne vont pas rester enfermés dans des sous-groupes.
Des places vides, des maisons fermées sont la réalité que je vis, suis-je trop
pessimiste ?
T.CASALONGA
Si les portes restent souvent
fermées dans les villages, je crois qu'il faut en chercher la cause dans toute une série
d'évènements qui font partie du passé sur lequel nous devons réfléchir en nous disant
que toutes les portes qui ont été fermées n'étaient pas forcément des portes qui
devaient rester ouvertes. Nous sommes bien conscients que la vie était très dure
autrefois et qu' il est bon qu'elle se soit adoucie. Donc ne rêvons pas d'un âge d'or
qui aurait été celui que nous ne connaissons plus et où nous voudrions retourner. La
plupart des gens qui ont connu cette vie dure et difficile ont la terreur qu'elle ne
revienne. Ne faisons pas du passé et de ces portes ouvertes sur la misère et sur des
journées de travail pour ne citer que cela - énormes, ne faisons pas de ces
portes ouvertes un mythe. Aujourd'hui les portes se sont fermées sur ces difficultés
là, ce sont-elles ouvertes sur autre chose ? C'est tout le pari de la modernité. Mais,
est-on obligé de ne pas être soi-même pour être de son temps comme vient de le
dire Antonio Cabiddu ?
Le fait donc que, physiquement
il y ait des portes fermées parce que les maisons sont vides, d'autre part que des portes
se soient fermées sur des groupes qui vivent cet enfermement comme une protection, c'est
l'image d'une nouvelle angoisse ; nous n'avons plus l'image de la faim, et encore ! Nous
n'avons plus l'angoisse de mourir de froid, sous les coups des envahisseurs, nous avons
aujourd'hui une nouvelle angoisse qui est existentielle et matérielle qui explique que
nous fermons les portes ? N'oublions pas que celui qui a inventé la porte lui a permis à
la fois de s'ouvrir et de se fermer, là est le génie de cette invention ; elle peut
même être entr'ouverte, c'est à dire qu'elle peut laisser passer le courant d'air sans
laisser passer l'ouragan ; elle peut empêcher les êtres nuisibles de rentrer et s'ouvrir
à ceux que l'on souhaite accueillir. Donc je répondrai à ta question de savoir si tu es
optimiste ou pessimiste en citant Georges Bernanos « un optimiste est un imbécile
heureux et un pessimiste est un imbécile malheureux ». |